Nelle sale di Ca’ Pesaro queste magnifiche opere vivranno, infatti, non più nella relazione intima con il luogo e le persone che le hanno fin qui custodite, ma si prepareranno a un dialogo quotidiano con i visitatori e con le opere esposte nelle sale attigue. Rinasceranno a nuova vita, dovendo d’ora in poi assolvere a un ruolo “pubblico”, destinate dunque a formare il gusto, sollecitare pensieri critici e riflessioni estetiche, proporsi come oggetti di studio per nuove ipotesi storiografiche, ma sempre e comunque tra loro unite da un filo conduttore, che è la passione dei collezionisti che le hanno raccolte, cercate, amate e ora portate qui come un unicum, che il museo intende riproporre per preservare integro il valore identitario del loro essere parte di una sola collezione, pur in dialogo d’ora in poi con le opere esposte nel percorso permanente del museo. L’arrivo di questi oltre ottanta lavori rende facile la domanda del perché un’istituzione, già ricca di un importante patrimonio artistico, decida di aggiungere alle sue raccolte un nucleo di opere in comodato a lungo termine, pur di eccezionale qualità, come quelle di Francesco e Chiara Carraro. È una domanda alla quale serve dare risposta.
Innanzitutto non si può non ritenere che ogni acquisizione costituisca per il museo, qualunque esso sia, una sorta di rinascita. Nulla è più foriero di buoni progetti e di un rafforzamento della capacità formativa ed educativa di un museo, dell’ampliamento delle sue collezioni permanenti: nessuna mostra, per quanto bella e importante, può creare un dialogo critico permanente come, invece, può fare una raccolta che si amplia e si apre a nuove aree di ricerca. Il senso del museo è certamente nelle cose che fa, ma anche e soprattutto nelle cose che possiede, cioè nelle sue collezioni. Sono proprio le collezioni il segno tangibile del suo evolversi, fonte della sua attrazione per il pubblico, della sua capacità di proporsi come un luogo di studio e di ricerca, espressione della sua capacità di intrattenere rapporti virtuosi con la comunità di appartenenza e, più in generale, con quel mondo dell’arte che, visitando ripetutamente il museo, certo ama ritrovare i dipinti del “cuore” (chi venendo a Ca’ Pesaro non vuole ogni volta rivedere la Giuditta II di Klimt o il superbo gruppo di sculture di Rodin, per non dire di quelle di Medardo e del Rabbino di Chagall, o della stupenda tela, tutta aria e leggerezza, di Sorolla) ma altrettanto apprezza il constatare che il museo cresce e si arricchisce di nuovo patrimonio e dunque si apre a nuove istanze critiche, conquista nuovi territori di ricerca e anche la fiducia dei suoi abituali visitatori a tal punto, come in questo caso, da poter essere il luogo prescelto da taluno per destinare alla fruizione pubblica la propria collezione.